La nostra colonna vertebrale è costituita dalle vertebre separate tra loro da un cuscinetto di materiale cartilagineo, il cosiddetto disco intervertebrale. E’ grazie alla presenza dei dischi che la colonna vertebrale si muove in maniera armonica.

Per ernia del disco si intende la fuoriuscita del nucleo polposo nel canale vertebrale (ernia espulsa) e la conseguente compressione delle strutture nervose lì presenti.

Varie condizioni possono indebolire un disco intervertebrale: il sovrappeso, uno stile di vita sedentario, la guida prolungata di veicoli pesanti, le vibrazioni, i lavori a elevato impegno fisico soprattutto se comportano abitualmente il sollevamento manuale di pesi.

Clinicamente l’ernia discale può provocare una lombocruralgia se il dolore è irradiato alla coscia, una lombosciatalgia se il dolore si irradia alla gamba ed al piede. I disturbi più frequenti lamentati dal pazienti sono dolore e/o parestesie (senso di intorpidimento e/o formicolio) lungo il territorio di irradiazione del nervo interessato dalla compressione discale.

Nel 75% dei casi la lombosciatalgia si risolve spontaneamente entro quattro settimane; il tasso di recidiva arriva al 60% nel corso dei due anni successivi e dopo ogni episodio la schiena ne esce più sofferente di prima.

Se la lombalgia è sostenuta da una grave patologia discale sfocia verso la cronicità o verso il ripetersi incalzante di episodi acuti sempre più gravi.

CHIRURGIA

La filosofia dell’approccio mininvasivo è quella di lavorare direttamente nel disco, evitando una strada chirurgica aperta attraverso il canale spinale dove alloggiano le strutture neurologiche. Così si scongiura il formarsi delle cicatrici ed aderenze e non si pregiudica un successivo intervento chirurgico.

Una tecnica che rispetta la minivasività è la nucleoplastica mediante coblazione: trova indicazione nel trattamento dei pazienti affetti da una lombalgia persistente, con o senza componente radicolare periferica, scatenata da un’ernia discale contenuta (bulging). Consiste nella ablazione e coagulazione, mediante l’uso di energia emessa mediante radiofrequenza, del nucleo polposo del disco intervertebrale, responsabile della sintomatologia dolorosa. Per via percutanea, in anestesia locale e sotto controllo scopico, si introduce un elettrodo nel disco intervertebrale. L’energia emessa dall’elettrodo dissolve il tessuto molle ricco di acqua: per effetto di questa decompressione discale, la radice nervosa non viene più toccata dalla sporgenza discale e, quindi, non più irritata, non procura più dolore.

La discectomia percutanea: attraverso l'introduzione, in anestesia locale, di una cannula di lavoro, con una micropinza si asporta il tessuto discale teso e sporgente: il risultato sarà quello  di una maggiore decompressione discale e, quindi, di un risultato clinico migliore.

Infine, la tecnica endoscopicaper via interlaminare o transforaminale: sempre attraverso una cannula di lavoro, si fa uso di una videocamera ad alta risoluzione, che inquadra il disco e la radice nervosa, e di strumenti dedicati (pinze, frese per microtrapano) che permettono di afferrare ed asportare il disco espulso.

Queste procedure richiedono tempi contenuti per l'esecuzione:  circa 20-30 minuti. Le prime due procedure vengono eseguite sempre in anestesia locale. Dopo qualche ora, al paziente è concessa la possibilità di ritornare a casa, senza particolari limitazioni.

Le tecniche mininvasive(MISS: Minimally Invasive Spine Surgery) di discectomia rappresentano una opportunità nel trattamento delle ernie discali contenute, non ancora espulse, sintomatiche resistenti alle comuni terapie mediche.

Queste tecniche non vanno considerate un’alternativa all’intervento chirurgico, bensì un’opportunità per prevenire la chirurgia aperta. Il grado di invasività della metodica minimo ed i rischi per il paziente molto bassi.

Donna affetta da lombosciatalgia da ernia del disco L4-L5: si introduce cannula di lavoro, controllo della corretta posizione con fluoroscopio, introduzione di pinza da ernia.

Uomo di 27 anni affetto da lombosciatalgia da ernia del disco contenuta L4-L5: discectomia, nell’ampolla il nucleo polposo asportato.

Donna di 50 anni trattata con coblazione del disco L3-L4 ed L4-L5, nella stessa seduta.

VANTAGGI TECNICHE MININVASIVE

SVANTAGGI:

Le fratture traumatiche od osteoporotiche  sono spesso causa di grave disabilità fisica, psichica e di dolore cronico.  L'osteoporosi  rimane a lungo asintomatica, fino a quando non si manifesta attraverso una frattura. I movimenti usuali come il piegarsi in avanti per raccogliere qualcosa o per rifare il letto, oppure le facili cadute in casa, come quella nel bagno, possono determinare importanti fratture che necessitano di un trattamento chirurgico.

Le fratture vertebrali si manifestano frequentemente con un collasso del corpo vertebrale su se stesso. La sintomatologia dolorosa è spesso imponente.

TERAPIA

In presenza di una frattura vertebrale si ricorre ai tutori ortopedici rigidi che hanno la finalità di scaricare dal peso, le vertebre dorso-lombari che si sono fratturate,  riducendo così la sintomatologia dolorosa. Il busto ortopedico evita che il paziente possa flettere la colonna. La durata del trattamento in corsetto è in media di tre mesi ed in questo periodo il busto deve essere sempre indossato, tranne quando  si è a letto. La fisioterapia permetterà di recuperare il tono muscolare e, quindi, di controllare la postura, spesso profondamente alterata.

Purtroppo, l’uso del corsetto non permette la riduzione della frattura: il corpo vertebrale guarisce spesso deformato come si osserva nel controllo radiografico a circa due anni della stessa paziente affetta frattura della 3° vertebra lombare, nonostante abbia fatto uso del corsetto per oltre 3 mesi.

La cifoplastica consiste nell'iniezione nel corpo vertebrale fratturato di una resina acrilica chiamata polimetilmetacrilato (PMMA) o “cemento osseo", che permette di restituire immediatamente solidità alla vertebra fratturata togliendo il dolore, con percentuali di successo che variano tra il 70% e il 90%.  Abitualmente l'intervento viene eseguito in anestesia locale, dura in media 40 minuti. Si introduce una cannula di lavoro nel corpo vertebrale fratturato, quindi, al suo interno si fa passare un catetere alla cui estremità vi è un palloncino di plastica che, una volta gonfiato con del liquido, permette la correzione della deformità vertebrale, ristabilendone l'altezza originale. Il palloncino successivamente viene rimosso: lo spazio creato all'interno del corpo vertebrale viene colmato dal polimetilmetacrilato (PMMA), inizialmente fluido che però solidifica in breve tempo, diventando duro quanto l'osso. Così si è ottenuta una stabile correzione della frattura. La sera dell’intervento il paziente può alzarsi dal letto ed il giorno dopo può essere dimesso dalla clinica. 

Dopo l’introduzione del catetere, viene gonfiato il palloncino: la vertebra si solleva. La cavità creata viene colmata dal cemento osseo.

Siringa usata per gonfiare il palloncino.

Frattura osteoporotica della 12° vertebra toracica trattata con cifoplastica bilaterale in anestesia locale.

LA CIFOPLASTICA PUÒ ESSERE EFFETTUATA ANCHE SU SOGGETTI ANZIANI, IN RAGIONE DELLA SUA BASSA AGGRESSIVITÀ

La nostra colonna vertebrale è costituita dalle vertebre separate tra loro da un cuscinetto di materiale cartilagineo, il cosiddetto disco intervertebrale. E’ grazie alla presenza dei dischi che la colonna vertebrale si muove in maniera armonica.

Per ernia del disco si intende la fuoriuscita del nucleo polposo nel canale vertebrale (ernia espulsa) e la conseguente compressione delle strutture nervose lì presenti.

Nel giovane adulto, con discopatia degenerativa di alto grado, la rottura del disco e la sua semplice asportazione può rappresentare una procedura non adeguata per evitare la comparsa di altri disturbi nel breve futuro. L'unità funzionale “vertebra-disco-vertebra” risulta indebolita dalla asportazione completa del disco intervertebrale: gli spazi intervertebrali da dove escono le radici nervose si riducono considerevolmente in altezza, le vertebre si muovono reciprocamente in modo paradosso portando ad una instabilità responsabile di dolore cronico.

In questi casi è auspicabile ristabilire, mediante l'uso di una gabbietta in titanio o carbonio chiamata cage, la giusta distanza tra le due vertebre con l'obiettivo che le strutture nervose non vengano più compresse e si prevengono le instabilità.

Attraverso un’incisione cutanea, dopo avere esposto la colona lombare, si giunge sullo spazio vertebrale: si asporta il legamento giallo e le lamine, si aggredisce il disco erniato che viene inciso e svuotato del suo contenuto. Si inseriscono delle viti nei peduncoli della vertebra soprastante e sottostante al disco asportato. Dopo aver cruentato le superfici delle due vertebre, si introduce la cage volta a riaprire lo spazio discale. Infine, alle viti si agganciano delle barre che daranno stabilità a tutto il sistema. Dopo circa 3-4 mesi, la cage favorirà la fusione delle due vertebre.

Trattasi di un intervento di alta chirurgia che richiede un'anestesia generale, il paziente si alza il giorno dopo l’intervento chirurgico con un corsetto lombare e la dimissione sarà possibile dopo due o tre giorni.

L'artrodesi intersomatica con cage trova indicazione nel trattamento della discopatia degenerativa avanzata, nelle stenosi foraminali, negli scivolamenti vertebrali (spondilolistesi), nell’instabilità degenerativa della colonna anteriore, negli esiti di trattamenti chirurgici.

L'uso della cage  permette un ripristino meccanico dell’altezza dello spazio intervertebrale, fornisce un supporto alle strutture anteriori del rachide, amplia i forami laterali da dove fuoriescono le radici nervose, ripristina la normale curva lombare (lordosi).

Uomo di 50 anni affetto da lombosciatalgia per ernia del disco L5-S1 e retrolistesi L5-S1.

La RMN permette di apprezzare la presenza di materiale che occlude il forame da dove esce la radice nervosa. La vertebra L5 è scivolata in dietro rispetto alla sottostante S1, indice di un movimento anomalo.

Si introducono le viti peduncolari nelle vertebre da bloccare.

Dopo aver asportato il disco intervertebrale, si posizionano 2 cage fra le vertebre L5-S1 per promuovere la fusione delle stesse. Infine barre e viti per dare stabilità al sistema. 

Controllo radiografico dopo 7 anni.

La scoliosi è una deviazione laterale e permanente della colonna vertebrale: le vertebre si presentano ruotate, inclinate, deformate a cuneo.

La scoliosi dell'adulto è una patologia degenerativa che si manifesta dopo i 50 anni e colpisce soprattutto il sesso femminile.

Nell'adulto la scoliosi può comparire per la comparsa di instabilità vertebrali conseguenti a gravi forme di discopatia degenerativa ma può rappresentare anche la ripresa evolutiva di una scoliosi comparsa in età giovanile.

Le scoliosi adolescenziali inferiori ai 30°-40° generalmente rimangono stabili durante l’età adulta; quelle più gravi, oltre i 40°-50° hanno, invece, un potenziale evolutivo di 1-2 gradi ogni anno. Queste forme evolutive richiedono adeguato trattamento per prevenire gravi disabilità nell'anziano.

La scoliosi degenerativa, chiamata anche “de novo”, perché insorge in età adulta è causata dalla degenerazione dei dischi intervertebrali e delle articolazioni tra le vertebre. Spesso si manifesta  nella zona lombare.

Il sintomo principale della scoliosi nell'adulto è rappresentato dal dolore per una progressiva riduzione della lordosi lombare e restringimento dei forami che danno passaggio ai nervi. Con il tempo compare una flessione del corpo in avanti, debolezza agli arti inferiori, limitata resistenza alla deambulazione ed alla stazione eretta prolungata.

La terapia della scoliosi dell’adulto può essere di natura conservativa o chirurgica. Nelle forme modeste, con valori angolari inferiori ai 40°, gli esercizi fisioterapici e posturali possono migliorare l’assetto posturale e controllare il dolore. Anche i bustini possono essere utili in determinati periodi: il loro utilizzo deve essere moderato in quanto a lungo termine possono aggravare i dolori perchè indeboliscono la muscolatura del rachide.

Anche la radiofrequenza può rappresentare una terapia analgesica valida nelle forme iniziali della malattia.

Il trattamento chirurgico, per deformità severe, mira a correggere la scoliosi e ripristinare la corretta lordosi lombare in maniera da contrastare la caduta del corpo in avanti. Si fa uso di barre agganciate a viti introdotte nei peduncolari vertebrali, le zone ossee più robuste della vertebra. Trattasi di una chirurgia complessa non priva di rischi e complicanze. Nell’adulto le scoliosi possono interessare un numero limitato di vertebre (2-3) quando conseguono ad una severa degenerazione discale, oppure un numero maggiore di vertebre (oltre 8) quando conseguono all’aggravamento di una scoliosi giovanile mal trattata.  La corretta pianificazione dell'intervento chirurgico, l'uso di sistemi di fissazioni adeguati e performanti, la abilità del chirurgo sono fondamentali al successo di questa chirurgia complessa.

Attualmente si dispone di viti peduncolari che consentono di affrontare efficacemente interventi complessi anche in individui di 60-70 anni affetti da osteoporosi. Il ricovero dura circa una settimana, segue un periodo di riabilitazione assistita, posturale e respiratoria, di circa tre settimane. Alla fine del primo mese, il soggetto è di norma in grado di svolgere le normali attività quotidiane ed entro il secondo mese di riprendere attività fisiche leggere come il nuoto.

Donna di 58 anni affetta da scoliosi dx D11-L4: correzione con stabilizzazione rigida D11-L5.

Uomo di 60 anni affetto da Parkinson: scoliosi angolare sin L3-L4: correzione con stabilizzazione breve.

Si tratta di una sindrome algica che origina dalle faccette articolari,La sindrome delle faccette articolari lombari rappresenta una causa frequente di lombalgia cronica. Insorge a seguito di una microinstabilità vertebrale e del conseguente sovraccarico funzionale delle piccole articolazioni poste a ponte fra le vertebre, le faccette articolari. Consegue all’irritazione della piccola radice nervosa che raccoglie la sensibilità di queste piccole articolazioni.

I sintomi lamentati dal paziente sono rappresentati dal dolore lombare cronico eventualmente irradiato al fianco. Il dolore spesso aumenta con l'iperestensione della schiena e non da disturbi radicolari periferici.

TIPICA L'ASSENZA DI DISTURBI RADICOLARI PERIFERICI.

Per confermare la diagnosi è indispensabile l’infiltrazione delle faccette articolari con anestetico locale. Il paziente viene posto sdraiato a pancia in giù sul letto operatorio. Quindi si localizzano i livelli da trattare mediante una guida fluoroscopica.  Se il test risulta positivo, vi è l’indicazione al trattamento mini-invasivo di ablazione con radiofrequenza che ha lo scopo di interrompere la trasmissione del segnale doloroso al cervello.

Attualmente la denervazione della capsula articolare tramite ablazione con elettrodi a radiofrequenza è la procedura più indicata e spesso risolutiva. Si esegue esattamente come il blocco diagnostico solo che al posto dell’anestetico locale viene inviata energia che riesce a creare una lesione a calore della fibra nervosa che non è più in grado di trasmettere il dolore. Il risultato è che il paziente riferisce completa risoluzione o netto miglioramento della sintomatologia. In caso di recidiva la procedura può essere ripetuta.

La radiofrequenza presenta un basso carattere invasivo, estremamente precisa, ripetibile, rischi nulli, possibilità di esecuzione in regime ambulatoriale, indicata su pazienti in scadenti condizioni fisiche.

Nel 65 - 80% dei pazienti il dolore si riduce subito del 50%. I risultati tendono a diminuire progressivamente con il passare del tempo, soprattutto quando non si associ ad appropriato programma di rieducazione posturale. Generalmente la durata del benessere clinico è tra i 6 e i 48 mesi.

La spondilolistesi rappresenta lo scivolamento di una vertebra su quella sottostante. Solitamente riguarda il passaggio fra la quarta e la quinta vertebra lombare (L4-L5) o fra la quinta vertebra lombare e la prima vertebra sacrale (L5-S1). Alcuni sports più di altri possono essere la causa di questa patologia in quanto portano la schiena in iperlordosi lombare (danza, pallanuoto, ginnastica artistica, pallavolo).

La comparsa di dolore in un individuo, specie se durante l’infanzia o l’adolescenza, che esercita uno degli sports ritenuti a rischio deve sempre richiamare l’attenzione su questa patologia per un precoce trattamento.

La lombalgia rappresenta il sintomo principale di questa malattia: aumenta con i movimenti di flesso-estensione della schiena e si risolve con il riposo a letto. Nelle fasi avanzate della malattia compaiono  sintomi radicolari a causa della compressione sulle strutture nervose. La spondilolistesi si evidenzia bene nelle proiezioni radiografiche laterali: si osserverà lo scivolamento e si potrà valutare l'entità.

Il trattamento della spondilolistesi dipende dalla severità dei sintomi: si va dalle semplici rassicurazioni del paziente ad interventi chirurgici di stabilizzazione vertebrale.

Adeguati esercizi di ginnastica, se eseguiti con regolarità, possono avere un ottimo risvolto terapeutico.

Nel caso di riscontro della malattia in età di accrescimento è bene effettuare un trattamento ortopedico conservativo volto a favorire la stabilizzazione della lesione: corsetto ortopedico.

L'intervento chirurgico va riservato nelle forme evolutive specialmente nell’adulto. Attraverso l’uso di viti peduncolari e barre metalliche si raggiunge la fusione vertebrale bloccando il progredire della fusione vertebrale. Nei soggetti più giovani si potrà fare uso anche di una cageintersomatica con lo scopo di far fondere una vertebra sull'altra.

In condizioni favorevoli è possibile anche effettuare la stabilizzazione con sistemi percutanei che non richiedono l'esposizione della colonna vertebrale. Attraverso incisioni di 1 cm si introducono delle cannule di lavoro che permettono di posizionare le viti peduncolari che vengono raccordate alle barre di stabilizzazione. Con questi approcci mininvasivi il sanguinamento è nullo, la ripresa è immediata, lo stress chirurgico estremamente contenuto.

In tutti i casi il decorso post-operatorio prevede un percorso “Fast Track”: il paziente già la sera dell'intervento chirurgico verrà aiutato ad alzarsi dal letto. La dimissione è possibile dopo 3 giorni, verrà prescritto un  corsetto lombare per circa tre mesi.

Donna di anni 58 affetta da spondilolistesi L4-L5: sottoposta ad intervento di riduzione e dello scivolamento e stabilizzazione rigida.

Donna di anni 62 affetta da spondilolistesi L3-L4: sottoposta ad intervento di riduzione dello scivolamento e stabilizzazione rigida L2-L4.

Per stenosi lombare si identifica un restringimento del canale vertebraleo dei forami intervertebrali dai quali escono le radici spinali per dirigersi verso gli arti inferiori.

La stenosi è la causa principale di sciatalgia nei pazienti di mezza età e negli anziani.  Diverse sono le cause  della stenosi lombare: fra le più importanti ricordiamo l’artrosi, le ernie discali indurite, le fratture, le microinstabilità croniche, i tumori.

Il restringimento del canale, nelle prime fasi della malattia, comporta solo modesti dolori a causa di una riduzione dell’afflusso di sangue alle strutture nervose soprattutto dopo un intenso esercizio fisico. Nelle fasi avanzate della malattia, invece, compare dolore, debolezza muscolare e crampi nel polpaccio dopo aver percorso pochi passi: oramai sono presenti danni strutturati delle radici nervose.

Fra gli esami clinici il test di Phalen è in grado di riprodurre i sintomi: il paziente viene invitato a mantenere la schiena in massima estensione per un minuto, questa posizione riduce le dimensioni del canale lombare. Ne deriva un crescendo di sintomi agli arti inferiori. Subito dopo si invita il paziente a flettere la schiena in avanti: i sintomi regrediscono rapidamente.

Fra gli esami strumentali oltre alla radiografia sono utili TAC, che valuta le reali dimensioni del canale vertebrale, ed una RMN che valuta il midollo spinali e le sue radici. L’Elettromiografia (EMG) permette di quantificare il danno a carico delle radici nervose.

TRATTAMENTO

Il trattamento della stenosi lombare dipende dalla severità dei sintomi. Nelle forme resistenti alla terapia medica e fisica, l'intervento chirurgico rappresenta la scelta migliore. Attraverso una laminectomia decompressiva si allargano gli spazi vertebrali dove alloggia il sacco durale e le sue radici. La procedura viene completata con la stabilizzazione del rachide, utilizzando innesti ossei, barre  metalliche e viti peduncolari.

Nelle forme meno gravi di stenosi lombare ed in pazienti più anziani è possibile ricorrere all'impianto di uno spaziatore interspinoso. Questo dispositivo posto nello spazio fra i processi spinosi, la porzione più posteriore delle vertebre, permette di riaprire i forami intervertebrali ed aumentare le dimensioni del canale vertebrale. La procedura è estremamente delicata, con approccio minimamente invasivo, praticabile anche in anestesia locale ed in pazienti molto anziani.  

Questa chirurgia permette uno straordinario recupero motorio e sollievo dai dolori: il paziente spesso riferisce di aver la sensazione di essere rinato, in quanto può riprendere una vita pressoché normale.

Uomo di anni 70 affetto da stenosi lombare: sottoposto a decompressione L3-L4-L5 ed a stabilizzazione.

Nell’immagine TAC si può osservare il decorso delle viti nei peduncoli e l’allargamento del canale vertebrale dopo l’asportazione delle lamine.

Donna di anni 85 affetto da stenosi lombare: sottoposta ad impianto interspinoso su due livelli.

Dott. Vinicio Perrone

Medico Chirurgo
Specialista in ortopedia e Traumatologia

Domus Medica s.r.l.
P.IVA 05198560756

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