Il piede piatto è la conseguenza della caduta della volta plantare e della deviazione all’esterno (valgizzazione) del calcagno.

Nei primi anni di vita tale situazione è del tutto normale e fa parte della normale crescita del piede.   

La fisioterapia e l'osteopatia possono mitigare una lassità dei muscoli cavizzanti del piede riducendo il piattismo.

La persistenza del piattismo dopo i 7-8 anni, invece, andrebbe trattata al fine di prevenire una sintomatologia dolorosa e disfunzionale soprattutto nel giovane adulto, come l’artrosi della caviglia e l’alluce valgo.

L’intervento si propone di prevenire interventi di maggiore complessità nell’età adulta

Esistono diverse tecniche chirurgiche.

Calcagno-stop: attraverso una incisione chirurgica di 1 cm si infigge una piccola vite all’interno dell’astragalo, la cui testa si oppone alla pronazione del calcagno,  facendo risalire la volta plantare.

Endortesi senotarsica: in questo caso si posiziona una sorta di “tassello” metallico nel seno del tarso, la cavità fra calcagno ed astragalo, favorendo la risalita della volta plantare. Da preferire in presenza di deformità maggiori ed in bambini più grandi.

La procedura chirurgica viene effettuata in ambedue i piedi contemporaneamente ed in anestesia locale. Al termine dell’intervento chirurgico, della durata di circa 20 minuti, il bambino esce dalla sala operatoria camminando liberamente senza necessità di stampelle o tutori. La ripresa della scuola è verosimile dopo 3-5 giorni.

Le viti vengono mantenute per circa 2 anni, tempo necessario all’organismo per correggere il difetto, quindi si potrà eseguire l’intervento di rimozione anch’esso in anestesia locale.

La fascia di età migliore per eseguire l’intervento è quella fra gli 8 ed i 12 anni. Si può effettuare l’intervento anche dopo, naturalmente le possibilità di completa risoluzione del piattismo si riducono con l’aumentare dell’età.

Quadro clinico prima del trattamento: si osserva la caduta mediale del piede e la deviazione in valgo del retropiede.

Quadro radiografico: ricomparsa del normale arco plantare; endortesi nel seno del tarso.

   Risultato clinico: si osserva la comparsa della volta plantare mediale e la scomparsa del piattismo.

L’alluce rigido, frequente soprattutto nell’uomo, si caratterizza per un dolore ed una limitazione del movimento in dorsiflessione dell’alluce soprattutto durante la corsa.

Sul dorso dell’alluce compare una piccola tumefazione, esostosi dorsale, sulla falange distale compare una callosità, al di sotto delle teste dei metatarsi potranno comparire piccole callosità.

La diagnosi viene confermata da una semplice radiografia del piede eseguita stando in piedi. Le forme lievi di alluce rigido possono trovare sollievo con l’uso di calzature con suola curva, MBT.

Nelle forme moderate-severe la chirurgia permette di risolvere il conflitto fra la falange prossimale dell’alluce ed il metatarso. Con tecnica chirurgica mini-invasiva si può ridurre ed eliminare l’esostosi dorsale. Altre volte, invece, bisogna ricorrere alle osteotomie correttive al fine abbassare e modificare l’orientamento del primo metatarso.

Allorquando si interviene tardivamente e siamo di fronte ad una degenerazione articolare molto importante si può ricorrere all’intervento di artrodesi della articolazione o un resurfacing della testa del primo metatarso. Nel primo caso il movimento dell’alluce rispetto al piede viene abolito, nel secondo viene conservato.

Tutte queste procedure possono essere eseguite attraverso un ricovero di qualche ora; in alcuni casi è possibile effettuare tutto in anestesia locale selettiva. Per la ripresa dell’attività sportiva, bisognerà aspettare 2-3 mesi

Quadro radiografico prima e dopo di alluce rigido trattato con dispositivo HemiCAP: resurfacing della testa del primo metatarso.

Come si presenta la protesi di rivestimento.

La fascia plantare  unisce calcagno con la base delle dita dei piedi, i metatarsi. Quando si è in piedi, si cammina o si corre l’intero peso del corpo è distribuito fra queste due strutture proprio per mezzo del legamento arcuato, che viene di conseguenza sollecitato notevolmente.

La fascia plantare è una robusta fascia di tessuto fibroso che origina dal calcagno e giunge alla base delle dita dei piedi.

Quando si cammina o si corre l’intero peso del corpo è distribuito fra queste due strutture proprio per mezzo della fascia plantare che viene di conseguenza sollecitata notevolmente: essa funziona come un ammortizzatore.

Tuttavia parlare solo di fascia plantare è riduttivo: dovremmo parlare di complesso achilleo-calcaneo-plantare in quanto dobbiamo considerare anche il polpaccio con la sua inserzione sul calcagno attraverso il tendine d'Achille. Può accadere che il polpaccio sia corto o quantomeno poco estensibile con l'effetto di trazionare il calcagno posteriormente. Dobbiamo immaginare il calcagno come un pendolo: se il calcagno viene tirato indietro, dal polpaccio, la fascia plantare risulterà tesa e quindi soggetta ad un infiammazione cronica e al dolore.

Varie condizioni possono predisporre all'infiammazione della fascia plantare: il piede cavo, il sovrappeso, un'attività sportiva eccessiva senza l'uso di calzature adeguate,  la brevità della muscolatura del polpaccio, le neuropatie, i reumatismi, ecc.

Riducendo la tensione del polpaccio sul calcagno otteniamo la detensione della fascia plantare. Ciò si può realizzare semplicemente aumentando il tacco della scarpa.

Una aggravante della fascite plantare è la spina calcaneale ovvero espressione di una entesite calcifica, cioè del deposito di sali di calcio all'inserzione della fascia plantare.

A volte la spina calcaneale può far male perchè irrita i nervi vicini ed in tal caso occorre scaricare dal peso corporeo questa porzione del calcagno.

E' importante ricordare che la spina non è la causa del dolore ma la conseguenza della fascite plantare.

Alla base del calcagno si osserva la classica immagine della "spina calcaneale".

Il dolore è localizzato tipicamente al tallone o nel centro della pianta del piede. Talvolta si può palpare un cordone sottocutaneo dolente che aumenta con la flessione dell'alluce.

I rimedi sono volti a ridurre la tensione della fascia plantare. Lo stretching alla fine dell'allenamento è utile per aumentare la mobilità della caviglia e ridurre la tensione del polpaccio sul calcagno ed indirettamente sulla fascia plantare. Il massaggio connettivale presso il fisioterapista ev. associato alle onde d'urto può rappresentare un'altra opportunità terapeutica.

L'uso di una calzatura con tacco comodo di tre/quattro centimetri, anche in soggetti di sesso maschile, può rappresentare il rimedio definitivo.

Le infiltrazioni di cortisone, in questa sede, sono sconsigliate perché spesso dolorose e dall'esito incerto.

Anche i plantari che sostengono la volta plantare del piede talvolta possono aggravare la sintomatologia perchè in realtà aumentano la tensione della fascia stessa.

La pappa piatrinica si dimostra molto efficace, ancor di più l'innesto di cellule adipose per il suo potenziale rigenerativo sui tessuti spesso infiammati a seguito di pregeresse terapie non appropriate quanto perchè reintegra ed aumenta la consistenza del tessuto adiposo normalmente resente nel cuscinetto calcaneale.

Il trattamento chirurgico è da riservare ai casi resistenti alle terapie dopo 6 mesi di trattamento conservativo. Esso mira ad allungare le inserzioni del polpaccio a livello del ginocchio o a detendere la fascia plantare.

La tecnica chirurgica mini invasiva consiste nell’interruzione percutanea sottocutanea della fascia plantare. La si effettua con strumentari dedicati e con assistenza di un artroscopio, al fine di ridurre al massimo l'insulto chirurgico dei tessuti.

I vantaggi della tecnica percutanea di fasciotomia sono:

-rapidità di esecuzione (10 minuti di intervento)

-indolore

-assenza di cicatrici chirurgiche

-deambulazione immediata

Anche l'articolazione fra il metatarso e l'alluce può andare incontro ad un processo artrosico. Le fratture articolari, gli esiti di correzione di alluce valgo, l’alluce rigido, possono comportare un consumo della cartilagine articolare a livello dell'alluce. Il paziente lamenta dolore ed una limitazione del movimento soprattutto in dorsiflessione, talvolta vi può essere una deviazione dell'alluce.

La diagnosi permetterà di accertare il grado di degenerazione articolare ed indirizzare verso il trattamento più appropriato.

Nelle forme moderate-severe la chirurgia permette di risolvere il sintomo dolore. Le possibilità sono due: l'artrodesi o la protesi. Con la prima soluzione si procede nel rimuovere la cartilagine articolare che riveste le estremità ossee e, attraverso l'uso di 1 o 2 viti, si favorisce la fusione delle ossa. Il movimento è abolito ed il dolore cessa. Con la seconda opzione, la protesi di alluce, le superfici ossee verranno rivestite da una lamina di titanio e da un disco plastico, in polietilene. La protesi permette di conservare la lunghezza originale dell'alluce, l'aspetto non risulta alterato ed il movimento viene preservato.

E' SEMPRE PREFERIBILE LA SECONDA SCELTA, QUELLA DELLA PROTESI.

Conservare il movimento dell'alluce permetterà al paziente di poter indossare anche scarpe con un piccolo tacco e si preserva l'articolazione distale dell'alluce da un eventuale sovraccarico funzionale. Ovviamente nel tempo vi può essere una riduzione del grado di movimento ma vi è sempre tempo per convertire una protesi in una artrodesi ove si rendesse necessaria questa scelta estrema.

La protesi di alluce richiede una strumentario psecifico per lavorare sulle piccole ossa del piede, l'anestesia sarà spinale o locale superselettiva. La sera dell'intervento chirurgico si potrà rientrare a casa, con una semplice medicazione a livello della ferita chirurgica. La deambulazione è concessa fin da subito con eventualmente l'uso di un bastone. Per la ripresa di una deambulazione completa occorrerà aspettare le 3-4 settimane. 

Uomo di 70 anni con grave degenerazione articolare: impianto di artroprotesi totale di alluce.

L’articolazione della caviglia può diventare molto dolente al punto che la deambulazione e la vita di una persona ne risulteranno gravemente compromesse.

L’artrosi, gli esiti di fratture, l’attività sportiva possono compromettere il tessuto osteo-cartilagineo alterando e compromettendo i movimenti di questa articolazione.

Nelle forme moderate di artrosi trova indicazione l’innesto di cellule mesenchimali prelevate dal tessuto adiposo dell’addome: questa tecnica permette di rigenerare la cartilagine articolare che ricopre le estremità ossee della tibia e dell’astragalo, migliora la funzionalità articolare ed il dolore si riduce considerevolmente.  

Anche l’artroscopia può essere molto vantaggiosa: attraverso due piccoli mini-incisioni, una per l’artroscopio e l’altra per lo shaver, si guarda l’articolazione e la si pulisce.

Quando diventa difficile camminare ed i dolori non sono più controllabili, l’impianto della protesi di cavigliarappresenta la soluzione migliore.

LA PROTESI PERMETTE DI CONSERVARE IL MOVIMENTO ARTICOLARE, RISERVANDOSI L’ARTRODESI DI CAVIGLIA  AD UN MOMENTO SUCCESSIVO.

La protesi comprende tre componenti: una componente tibiale, una astragalica e un cuscinetto mobile di polietilene. Essa permette di recuperare una deambulazione normale ed è compatibile anche con una moderata attività sportiva a basso impatto. Esistono nuovi modelli che permettono un “resurfacing” delle ossa della caviglia con ulteriore risparmio di osso ed ampie possibilità di revisione dell’impianto ove si rendesse necessaria questa opzione. 

L’intervento chirurgico viene effettuato in anestesia spinale e dura circa 90 minuti: la via chirurgica è frontale o laterale in base alla protesi scelta. Le perdite ematiche sono minime e non è necessario mai  trasfondere del sangue. Il giorno dopo si procede ad immobilizzare la caviglia con uno stivaletto di vetro-resina che verrà rimosso dopo 15 giorni. Quindi si passerà ad un tutore walker che accompagnerà il paziente nel programma di recupero completo che normalmente richiede quattro settimane.

Donna di 57 anni: artrosi severa caviglia destra trattata con protesi Hintegra

Il tendine d’Achille è necessario all’estensione del piede sulla gamba. La rottura del tendine d’Achille è un evento di frequente osservazione. La lesione spesso è di natura traumatica: per errori di allenamento negli sportivi; altre volte la lesione è di tipo degenerativo, dovuto all’età o a all’uso di farmaci come i corticosteroidi infiltrati localmente oppure gli antibiotici come i fluorochinolonici.

L’evento scatenante la rottura del tendine d’Achille sembra essere una brusca contrazione del polpaccio, come avviene durante uno scatto del piede.

II quadro clinico è caratterizzato da dolore improvviso, con sensazione di sassata nella regione del polpaccio, e impossibilità a deambulare.

Nelle forme di tendinosi allorquando vi è dolore ed eventualmente vi sono microlesioni evidenziate alla ecografia o alla RMN trova indicazione l'innesto di cellule mesenchimali prelevate dal tessuto adiposo dell’addome: questa tecnica permette di rigenerare il tendine e di accelerare i naturali processi di guarigione del tendine. Anche il concentrato di piastrine agisce allo stesso modo, anche se con efficacia minore.

Nelle lesioni complete del tendine, il trattamento chirurgico ha lo scopo di eliminare i tessuti degenerati e di stimolare una riparazione cicatriziale del tendine stesso, quindi si effettua la sutura termino-terminale, con la possibilità di rinforzarla con materiali naturali o sintetici.

Una tecnica chirurgica mininvasiva che permette un recupero funzionale rapidissimo consiste nel rinforzare la sutura tendinea con una protesi chiamata POLY-TAPE.  Trattasi di un nastro in poliestere che viene fatto passare attraverso i margini della lesione, descrivendo tre anelli collegati fra loro, ed ancorato da una parte al calcagno e dall’altro nel ventre muscolare del polpaccio.  Il rinforzo della sutura con il Poly-Tape offre il vantaggio di una precocissima mobilizzazione della caviglia, senza necessità di fare uso di tutori esterni, ottimizzando il recupero funzionale dell’arto e con bassissime complicanze.

Uomo di 62 anni con lesione degenerativa del tendine d’Achille: aspetto macroscopico.

Uno dei passaggi del Poly-Tape. A dx: la ferita chirurgica.

L’alluce valgo insorge, probabilmente, allorquando stimoli ambientali abnormi (ad esempio calzature strette) agiscono su un piede che presenta delle condizioni predisponenti allo sviluppo della malattia.

La deviazione dell’alluceverso l’esterno del piede rappresenta l’aspetto più evidente dell’alluce valgo.

In presenza di un alluce valgo il primo metatarso e l’alluce non sono più allineatima formano tra loro il cosiddetto angolo di valgismo da cui prende nome la deformità.

Altre anomalie rientranti in questa patologia sono: le callosità dolorose sulla pianta del piede e quella in corrispondenza del bordo mediale dell’alluce, chiamata volgarmente cipolla, l’allargamento della parte anteriore del piede a mò di ventaglio, il 2° dito a martello

La radiografia del piede sotto carico permetterà di misurare l’angolo di valgismo ed escludere un’eventuale degenerazione artrosica dei capi ossei.

L’intervento chirurgico, denominato osteotomia, si pone l’obiettivo di riallineare le ossa dell’alluce e bilanciare le forze che hanno portato alla deformità.  Altri gesti chirurgici possono essere l’asportazione della cipolla, l’allungamento dei tendini estensori o flessori diretti alle piccole dita, l’accorciamento dei metatarsi centrali in presenza di una metatarsalgia.

La procedura può essere effettuata con tecnica percutanea o a cielo aperto. Dopo aver praticato un’anestesia locale, verranno effettuati alcuni tagli sull’osso al fine di permettere la correzione del metatarso. Facendo uso di una  microfresa e di microlame motorizzate, si asporta la sporgenza ossea tipica dell’alluce valgo e si taglia il 1° metatarso per orientare la sua superficie articolare rispetto alla falange prossimale dell’alluce.

L’intervento chirurgico dura circa 10 minuti se condotto per via percutanea, 30 minuti circa se effettuato a cielo aperto. Terminato l’intervento chirurgico, il piede potrà restare libero oppure gli verrà apposto un bendaggio correttivo che andrà conservato per 4 settimane. La deambulazione è possibile fin da subito.

A sx correzione con tecnica a cielo aperto, a dx correzione con tecnica percutanea.

QUALE TECNICA SCEGLIERE: PERCUTANEA O A CIELO APERTO?

Nel forme iniziali della deformità ed in soggetti più giovani trova maggiore indicazione la tecnica percutanea (Bösch).

Nelle forme più severe di alluce valgo, in soggetti più grandi nell’età ed in presenza di una degenerazione dei capi articolari è da preferire ricorrere alle tecniche chirurgiche a cielo aperto  (es. Scarf, wedge osteotomy, Akin). Le osteotomie distali del 1° metatarso (eseguite vicino alla falange) sono indicate per la correzione dell’alluce valgo di lieve e moderata entità, mentre quelle prossimali (vicino alla base del metatarso) sono eseguite quando la deformità dell’alluce è accentuata ed è necessario un’importante spostamento per rimettere in asse il primo raggio. I tagli ossei possono essere stabilizzati con una o due viti, con cambre, placche o con fili metallici a seconda delle necessità.

E’ importante l’esperienza del chirurgo e che le sue conoscenze che non siano limitate alla sola tecnica percutanea.  Non si può pensare di correggere tutte le deformità del piede con la stessa tecnica: in tal caso è facile la recidiva della deformità, la rigidità dell’alluce, la difficoltà ad indossare una scarpa con tacco.

Donna di 22 anni: Quadro clinico finale e radiografico di correzione di alluce valgo giovanile bilaterale trattato con osteotomia percutanea secondo Bösch.

Donna di 40 anni: quadro radiografico prima e dopo la correzione di alluce valgo bilaterale con chirurgia aperta e sintesi con vite. A dx: aspetto finale.

Dott. Vinicio Perrone

Medico Chirurgo
Specialista in ortopedia e Traumatologia

Domus Medica s.r.l.
P.IVA 05198560756

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