L’articolazione dell’anca può diventare molto dolente al punto che la deambulazione e la vita di una persona ne risulteranno compromesse.

L’artrosi è una malattia che compromette il tessuto cartilagineo riducendo progressivamente i movimenti dell'anca.

Nelle forme moderate di coxartrosi trova indicazione l'innesto di cellule mesenchimali prelevate dal tessuto adiposo dell’addome: questa tecnica permette di rigenerare la cartilagine articolare che ricopre la testa femorale, migliorare la funzionalità articolare e ridurre considerevolmente il dolore.
Quando diventa difficile camminare, l'attività sportiva diventa difficile e siamo ancora giovani, l’impianto di una protesi d'anca può rappresentare la scelta migliore. Purtroppo la protesi di rivestimento oggi presenta delle criticità che ne controindicano l’impianto.

Come dice il termine rivestimento, andiamo a rivestire la testa del femore con una semisfera di metallo e la cavità acetabolare con una coppa anch’essa in metallo. Si tratta di una protesi che conserva le strutture anatomiche dell’anca ed in particolare il collo del femore, evitando problemi come le differenze di lunghezza degli arti inferiori e riducendo al minimo o annullando il rischio di lussazione dell’impianto.


L’accoppiamento metallo/ceramica rappresenta un’evoluzione delle precedenti metallo/metallo

In questo impianto lo scorrimento avviene tra metallo e metallo. I grandi diametri della testa e del cotile e la conservazione del collo femorale osseo permettono un ampio arco di movimento con la possibilità di continuare a praticare sport anche a livello agonistico.

L’accoppiamento metallo/metallo si è visto nel tempo che produce un eccesso di ioni metallici che possono andare in circolo. Le cause di fallimento più frequenti per queste protesi sono raggruppate nella cosiddetta ARMD (Adverse Reaction to Metal Debris) che comprende reazioni locali, osteolisi, pseudotumor, metallosi ed alti tassi di ioni metallo nel sangue (Cromo e Cobalto). L’alta incidenza di complicazioni riportate con protesi di rivestimento metallo-metallo ha costretto la Società Italiana di Ortopedia (SIOT) a rilasciare un documento informativo sui rischi di questo tipo di protesi in particolare in pazienti con disfunzioni renali con conseguenze sconosciute.

 I rischi potenziali e le incertezze sono correlati agli effetti a lungo termine dei prodotti del metallo (particelle, ioni, composti metallo‐organici) inclusi effetti sistemici (cancerogeni, teratogeni, tossici).

L’accoppiamento metallo/ceramica rappresenterà l’evoluzione delle precedenti metallo/metallo ma ancora non sono in commercio. Inoltre bisognerà capire come ridurre il rischio di rottura della ceramica.

Sempre più spesso si soffre di coxartrosi, o artrosi dell’anca, frequentemente in età molto giovane.

L'articolazione dell'anca ci permette di camminare, alzarci o sederci da una sedia, andare in bicicletta, guidare l’auto e di svolgere altre attività. 

L'anca congiunge l'arto inferiore al tronco ed in particolare l'osso del femore al bacino: la testa del femore, di forma sferica, viene accolta nell'acetabolo, una cavità a forma di coppa posta nel bacino.

L'articolazione dell'anca essendo sottoposta ad una usura costante nel tempo, può consumarsi oltremodo fino alla comparsa dell'artrosi, cioè dell'usura della cartilagine: il tessuto che riveste le estremità ossee che compongono l’articolazione stessa.

La cartilagine articolare consente lo scorrimento delle ossa l’una sull’altra, evitando gli attriti. La membrana sinoviale, che riveste le pareti dell'articolazione, produce un  liquido che lubrifica e nutre la cartilagine. Quando la cartilagine si assottiglia, aumentano le frizioni che possono condurre ad un processo infiammatorio locale: questo porta alla formazione di molecole infiammatorie che ulteriormente favoriscono la degenerazione della cartilagine articolare.

Quindi con il termine coxartrosi indichiamo una malattia degenerativa cronica caratterizzata dal cosumo (degenerazione) progressivo ed inesorabile della cartilagine articolare che ricopre le superfici ossee all'interno dell'articolazione.

Grave degenerazione artrosica dell'anca destra

La progressione della malattia porta ad una disabilità caratterizzata dall’irrigidimento doloroso e progressivo dell’articolazione dell'anca.

Fra le cause che possono accellerare i fisiologici processi d'invecchiamento fino a configurare una vera e propria malattia dell'anca possiamo annoverare l'obesità ed alcuni sport, come la pesistica: in entrambi i casi aumentano i carichi sull'articolazione e quindi gli attriti  sulla cartilagine che così si consuma anzitempo. Altri sport come il rugby, la danza, gli sport da contatto possono condurre, soprattutto se iniziati in età adolescenziale, ad  una perdita della normale conformazione dei capi ossei  dando luogo ad un conflitto femoro/acetabolare prima ed all'instaurarsi di un'artrosi precoce dopo. 

Talvolta la coxartrosi è presente gà in età molto giovane a seguito di una displasia dell'anca comparsa alla nascita e non adeguatamente curata.  Infine, gli esiti di una grave frattura o le infezioni articolari dell'anca possono deformare la testa del femore e condurre ad una artrosi precoce dell'anca.

Quando si instaura una coxartrosi si verificano delle lesioni della cartilagine articolare che si estendono dalla superficie fino agli strati più profondi verso l'osso sottostante. La cartilagine articolare nel tempo si ammorbidisce e si assottiglia, talvolta si sfoglia. La membrana sinoviale che riveste l'articolazione sarà soggetta a frequenti episodi infiammatori che innescheranno la formazione di proteine di degradazione che accellereranno la degradazione della cartilagine stessa.

Le prime manifestazioni cliniche della coxartrosi sono rappresentate dal dolore avvertito a livello dell’inguine, che si irradia nella regione anteriore della coscia verso il ginocchio. Il dolore aumenta dopo essere stati seduti a lungo magari su un divano basso o al mattino quando ci si risveglia e ci si mette in movimento.

Nelle forme più avanzate compare la difficoltà a camminare, salire le scale, entrare nell'auto.

La diagnosi viene confermata da una radiografia del bacino possibilmente sotto carico al fine di misurare la riduzione della rima articolare ed individuare malformazioni anatomiche (displasia, epifisiolisi, morbo di Paget, osteonecrosi e altro).

La risonanza magnetica è un esame fondamentale per fare diagnosi di osteonecrosi della testa del femore.

Il trattamento della coxartrosi può richiedere terapie diverse a seconda della gravità della malattia nel momento della sua diagnosi.

Infatti, in presenza di una coxartrosi al primo stadio, con sintomatologia lieve, si preferisce orientarsi verso le terapie di tipo conservativo, riservando quelle  chirurgiche alle forme di coxartrosi in stadio avanzato.

Fra le terapie conservative, quelle iniettive endoarticolari sono da preferire: i farmaci giungono immediatamente in articolazione con remissione della sintomatologia in maniera più rapida.

L'iniezione endoarticolare di acido ialuronico ad alto peso molecolare garantisce un risultato soddisfacente nelle forme inziali di coxartrosi. L'acido ialuronico, normalmente già presente nelle nostre articolazioni, agisce come una sorta di lubrificante che riduce gli attriti fra il cotile e la testa del femore, garantendo una corretta mobilità dell'articolazione e riducendo il dolore. Per raggiungere l'articolazione è preferibile l'uso dell'amplificatore di brillanza soprattutto nei pazienti con un abbondante pannicolo adiposo.

Un'altra metodica è rappresentata dall'innesto di tessuto adiposo: procedura volta a rigenerare il tessuto cartilagineo che ricopre la testa del femore ed il cotile. Nel nostro corpo esistono alcune cellule che conservano la capacità di rigenerare i tessuti. Trattasi di cellule totipotenti, cioè in grado di differenziarsi e diventare cellule cartilaginee se iniettate in un'articolazione. Queste cellule totipotenti (mesenchimali) attivate sono in grado di rigenerare il tessuto danneggiato con la finalità di ripararlo. L’efficacia di questo meccanismo dipende, tuttavia, dall’effettivo potenziale di rigenerazione dei tessuti stessi, che risulta essere più elevato in casi di degenerazione moderata e può essere molto ridotto nei casi di coxartrosi avanzata. La procedura, eseguita in sala operatoria, richiede un’anestesia locale ed è indolore. Le cellule prelevate con la stessa metodica di una liposuzione (attraverso un piccolo ago in regione sottombelicale) vengono  attivate e successivamente iniettate nell'anca facendo uso di un semplice ago da siringa. 

Ambedue le metodiche, acido ialuronico o innesto di tessuto adiposo dal grasso addominale,  permettono un evidente miglioramento clinico sia del dolore che della funzionalità articolare. Nel secondo caso le cellule mesenchimali iniettate agiscono riparando la cartilagine usurata e favorendo la guarigione del tessuto cartilagineo sofferente. Quest'ultima tecnica è indicata sia nel caso di una grave coxartrosi (l'effetto di viscosupplementazione è maggiore rispetto all'acido ialuronico), ma anche nelle forme iniziali di artrosi al fine di prevenire danni maggiori.

Entrambe le tecniche non rappresentano un’alternativa all’intervento chirurgico, ma una opportunità per ritardarlo sensibilmente nel tempo; invece, nel paziente molto anziano rappresentano l’unica opportunità terapeutica possibile per lenire il dolore .

La terapia chirurgica è rappresentata dall'impianto di una protesi di anca possibilmente per via mini invasiva.

In un'altissima percentuale dei casi i risultati sono ottimi, con la possibilità di condurre una vita quasi normale e di praticare sport leggeri. Le complicazioni si verificano in meno del 2% dei casi: le più frequenti sono la mobilizzazione della protesi, le fratture, le lussazioni.

L'intervento di protesi d'anca consiste nella sostituzione dell'acetabolo e della testa del femore con elementi in titanio, plastica (polietilene), ceramica.

Nei casi di avanzata degenerazione articolare, l’impianto di una protesi di anca permette un recupero articolare completo e rapido. I moderni approcci chirurgici estremamente rispettosi dei muscoli periarticolari (accessi minivasivi) e la scelta di modelli protesici di piccole dimensioni (miniprotesi) consentono al paziente di recuperare in maniera ottimale e veloce in poche settimane.

Parte integrante di questo percorso virtuoso è sicuramente il protocollo “Fast Track” che permette di eliminare le perdite di sangue, ridurre drasticamente il dolore post-operatorio, recuperare la piena articolarità entro le prime 6 ore e poter dimettere il paziente già dopo 3-4 giorni.

Inoltre, attraverso l’adozione di questi protocolli avanzati, è possibile sottoporre il paziente ad impianto di protesi bilaterale di anca.

Nonostante una protesi anca sia stata correttamente posizionata, a causa dell'invecchiamento e dell'usura dei materiali, il contatto fra l'osso e l'impianto può modificarsi nel tempo con la conseguenza di comparsa di movimenti dolorosi. In questi casi si parla di mobilizzazione asettica  della protesi.  Raramente la mobilizzazione protesica può essere dovuta ad un'infezione batterica, mobilizzazione settica.

Più la protesi è mobile più la funzionalità dell'impianto può diminuire, causando zoppia, dolore, cedimento articolare. 

IN QUESTI CASI L'INTERVENTO È OBBLIGATORIO.

La revisione di una protesi d'anca, riprotesizzazione, è un intervento chirurgico di sostituzione di una o più parti  della protesi già impiantata. L'obiettivo finale di un intervento di revisione protesica è quello di restituire al paziente un'articolazione ben funzionante e non dolorante.

Nel caso di infezione della protesi  si rende necessario l'espianto della protesi infetta ed il reimpianto di un nuova protesi. In questo caso la procedura si può eseguire in un unico tempo chirurgico (revisione settica one-stage) o in due tempi (revisione settica two-stage).

Nel secondo caso l'espianto della protesi ed il reimpianto della nuova protesi sono separati da un intervallo di 2-4 mesi. In questo periodo di tempo si impianta uno spaziatore di cemento osseo con antibiotico: questo permette di bonificare i tessuti dall'infezione e di mantenere lo spazio prima occupato dalla protesi  e che servirà per la accogliere la nuova protesi.

Spaziatore protesico.

La tecnica a due tempi di revisione della protesi settica è da preferire perchè offre i migliori risultati clinici.

L’intervento di revisione della protesi consiste nella rimozione della protesi mobilizzata o infetta e nella sua sostituzione con un'altra protesi di dimensioni maggiori. Le vie di d'accesso sono più estese rispetto a quelle usate nel primo impianto. Le perdita di sangue sono possibili, talvolta è  necessaria almeno una trasfusione di sangue.  Il decorso post-operatorio è molto variabile: i tempi di recupero normalmente sono più lunghi, specialmente quando ci troviamo di fronte ad ampi riassorbimenti di osso o in presenza di fratture periprotesiche.

Se si è intervenuti precocemente, il paziente potrà riprendere a deambulare già il giorno successivo all'intervento chirurgico, nel casi più complessi può essere necessario ritardare la ripresa della deambulazione anche per alcune settimane.

I pazienti che si sottopongono a procedure chirurgiche di revisione protesica possono aspettarsi di avere risultati da buoni ad eccellenti in circa il 90% dei casi, anche considerando l'alto tasso di complicanze rispetto all'intervento chirurgico di primo impianto.

La chirurgia di revisione protesica è una procedura complessa che richiede un'ampia pianificazione preoperatoria, impianti e strumenti specifici e la padronanza delle diverse tecniche chirurgiche.   

Il quadro radiografico documenta la mobilizzazione del cotile e dello stelo femorale che sta per rompere l’osso.

Lo stelo femorale circodato dal cemento osseo fratturato.

Si rimuove la protesi ed il cemento osseo precedentemente usato per fissare la protesi all’osso.

La protesi di revisione presenta uno stelo più lungo e più riempitivo.

In questo caso si è proceduto anche alla revisione del cotile oltre allo stelo femorale con un pieno recupero articolare.

IL RISULTATO COMPLESSIVO È SEMPRE BUONO E MIGLIORE RISPETTO A QUELLO CONSEGUENTE AD UNA SCELTA CONSERVATIVA, NON CHIRURGICA

Lo sviluppo delle protesi per grandi resezioni offre alla chirurgica ortopedica, oncologica e degenerativa, opportunità terapeutiche sorprendenti.

Le “megaprotesi” trovano indicazione nelle gravi perdite di sostanza ossea secondarie alla patologia neoplastica, nella chirurgia di revisione protesica ripetuta, nelle fratture periprotesiche complicate o come soluzione di gravi sconquassi articolari postraumatici.

La megaprotesi si caratterizzano per essere modulari, rendendo l’impianto versatile per la ricostruzione della regione del femore e dell’anca e consentendo il ripristino di segmenti ossei variabili da 10 cm a 48 cm di lunghezza.

Gli steli consentono un ancoraggio o diretto all’osso o attraverso uno strato di cemento osseo. Le superfici protesiche microporose favoriscono la ricrescita ossea ed offrono la possibilità di utilizzo di allograft ossei. Infine, le superfici della protesi possono essere trattate con particolari rivestimenti in modo da consentirne l’uso anche nel caso di pseudoartrosi infette.

Uomo di 63 anni: lesione neoplastica nella regione prossimale femore. Immagine RMN e pezzo anatomico.                                          

Aspetto della protesi a sx, durante l’inserimento, la radiografia finale a dx.

La radiografia a 4 anni dimostra la buona integrazione della protesi e la ricrescita di osso.

TRATTASI DI UNA CHIRURGIA COMPLESSA, DA RISERVARE A CASI CLINICI SELEZIONATI CHE, DIVERSAMENTE, SAREBBERO DESTINATI ALLA PERDITA DELLA FUNZIONE ARTICOLARE O ALLA COMPLETA PERDITA DELL'ARTO.

L’articolazione dell’anca può diventare molto dolente al punto che la deambulazione e la vita di una persona ne risulteranno compromesse.

L’artrosi, gli esiti di fratture, la displasia dell’anca, disturbi vascolari (Perthes) possono compromettere il tessuto osteo-cartilagineo alterando e compromettendo i movimenti di questa articolazione.

Nelle forme moderate di coxartrosi trova indicazione l'innesto di cellule mesenchimali o cellule adipose prelevate dal tessuto adiposo dell’addome: questa tecnica permette di rigenerare la cartilagine articolare che ricopre la testa femorale, migliorare la funzionalità articolare e ridurre considerevolmente il dolore.

Nelle forme di coxartrosi dove il dolore è severo, oppure nei casi nei quali non ci si vuole operare trova indicazione la radiofrequenza dell'anca: attraverso un elettrodo si “stordisce” il nervo femorale ed otturatorio, entrambi responsabili del dolore lamentato dal paziente all’inguine ed alla coscia.

Quando diventa difficile camminare ed i dolori non sono più controllabili, l’impianto della protesi d'anca rappresenta la soluzione migliore.

La tecnica mininvasiva permette di salvaguardare i tessuti molli periarticolari, ricostruire la capsula articolare, ridurre il dolore, ridurre drasticamente i tempi di recupero.

La protesi anca è costituita da tre elementi: una testina in ceramica sistemata su uno stelo metallico che rimpiazza la testa del femore danneggiato, un cotile (o coppa metallica) che sostituisce la cartilagine del bacino, un inserto in ceramica (o polietilene) che va posto tra cotile e testina per facilitare lo scorrimento fra testina e cotile.

Attraverso la protesi di anca viene ripristinata la funzionalità dell’anca.

La tecnica mini invasiva permette di estendere l’indicazione chirurgica anche ai giovani ed agli sportivi.

La convalescenza è rapida, il paziente può iniziare la fisioterapia lo stesso giorno dell’intervento e riprendere camminare già la sera dell’operazione. In questi casi il percorso “Fast Track” permette vantaggi notevoli: l’anestesia è periferica selettiva, le perdite ematiche sono pressoché nulle (pratica gradita ai Testimoni di Geova), il dolore post-operatorio quasi nullo, viene scongiurato il tanto temuto rischio di lussazione della protesi, la dimissione a casa è molto veloce in quanto possibile già dopo 4 giorni dall’intervento chirurgico. Non vi è necessità di dover utilizzare scomodi presidi come alzawater e deambulatori,  si potranno abbandonare le stampelle già dopo soli 15-20 giorni e riutilizzare l'automobile.

Uomo di 45 anni: artrosi severa anca sinistra.  A dx: protesi di anca a conservazione di collo impiantata con accesso antero-laterale sec. Rottinger.

Completo recupero dei movimenti già dopo 4 settimane.

               Aspetto della ferita chirurgica.                                              

Donna di 51 anni: artrosi severa anca destra. Protesi di anca a conservazione di collo.

Completo recupero dei movimenti.

"MENO SI TAGLIA PIÙ SI RECUPERA VELOCEMENTE"

VANTAGGI DELLA TECNICA MININVASIVA:

SVANTAGGI:

L’articolazione dell’anca può diventare molto dolente allorquando si verifica il consumo della cartilagine articolare che ricopre la testa del femore e la cavità del bacino che l’accoglie.

L’artrosi, gli esiti di fratture malconsolidate, la displasia dell’anca, possono favorire un precoce consumo del tessuto cartilagineo alterando e compromettendo i movimenti di questa articolazione.

Nelle forme di coxartrosi dove il dolore è moderato-severo un approccio terapeutico può essere quello di agire direttamente sulla trasmissione del dolore, interrompendola attraverso una lesione temporanea dei nervi periferici. La radiofrequenza sull’anca prevede che l’energia emessa da un ago agisca sul nervo riducendone la trasmissione dei segnali dolorosi provenienti da una specifica area anatomica.

Cardiovascular X-Ray and an angiographic injection system in a hospital

Nella coxartrosi con la radiofrequenza si “stordisce” il nervo femorale ed il nervo otturatorio, entrambi responsabili del dolore accusato all’inguine ed irradiato alla coscia. La procedura non richiede anestesia.   Un apposito ago collegato ad un generatore di radiofrequenza viene guidato grazie alla radiografia (scopia) in prossimità dei rami nervosi sensitivi, che vengono identificati grazie alle "stimolazioni sensitive e motorie". La procedura non danneggia in alcun modo il nervo ma ne modula la trasmissione del segnale doloroso.

La radiofrequenza può dare benefici variabili dalle 4 settimane fino ad oltre 1 anno. Questa variabilità è condizionata dalla capacità di collaborazione del paziente durante il posizionamento dell’elettrodo. Infatti, il paziente dovrà guidare il medico a posizionarlo quanto più vicino al nervo descrivendo le sensazioni avvertite al passaggio del segnale elettrico: formicolio, bruciore, vibrazioni muscolari.

La radiofrequenza è una tecnica estremamente sicura ed efficace, ben tollerata. Le eventuali complicanze, prossime allo 0, possono essere legate ad un minimo rischio di sanguinamento e infezione nella sede del trattamento.

Terminata la procedura il paziente può ritornare a casa senza particolari accorgimenti. I benefici vengono avvertiti da subito e si rafforzeranno nelle due settimane successive.

Posizione dell’elettrodo sul n. otturatorio.              Posizione dell’elettrodo sul n. femorale.           

Le aspettative del paziente che oggi si sottopone ad intervento di protesi di anca sono molto alte in termini recupero articolare, riduzione del dolore percepito, riduzione della degenza, ritorno alla via normale.

Il percorso “Fast-Track” ossia  "percorso rapido"  applicato all’intervento di protesi di  anca per via mini-invasiva permette un notevole incremento qualitativo dei risultati raggiungibili in questa chirurgia attraverso una riduzione del dolore post-operatorio e dello stress chirurgico.

Attraverso il percorso Fast Track, il paziente diventa protagonista del suo stesso recupero: il risultato clinico sarà superiore rispetto ai protocolli standard perchè si lavora anche sulla psicologia del paziente  motivandolo nelle aspettative. E’ sempre auspicabile quando possibile unire all’impianto di una protesi a conservazione di collo un percorso Fast Track.

I punti salienti del protocollo sono:

Il percorso Fast Track prevede che, all'atto della dimissione, il paziente sia in grado di muoversi in autonomia all’interno della stanza, essere in grado di fare le scale, essere autonomo nell’effettuare le attività quotidiane di base, posse­dere una autonomia nel cammino di almeno 50 metri facendo uso dei bastoni canadesi.

Il paziente maggiormente soddisfatto percepisce di aver fatto un trattamento di sicura efficacia e guarderà con meno diffidenza la possibilità di un intervento protesico sulla articolazione controlaterale danneggiata dall'artrosi.

A 6 ore dall’intervento chirurgico il paziente viene avviato alla deambulazione. 

In 3° giornata si può rientrare a casa ed eventualmente proseguire la riabilitazione in regime ambulatoriale.

Dott. Vinicio Perrone

Medico Chirurgo
Specialista in ortopedia e Traumatologia

Domus Medica s.r.l.
P.IVA 05198560756

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